Ripensavo a “Spanglish”, il mio primo libro – pubblicato nel 2002 e ripubblicato nel 2017 -, e a quando gli amici mi scrivevano o mi chiamavano a Miami, esultando per il fatto che dalla mia opera fosse nato un film, intitolato appunto “Spanglish” uscito due anni dopo, nel 2004! Ma non era così… ovviamente. Il regista, James L. Brooks (Voglia di tenerezza, Qualcosa è cambiato), ignorava totalmente che al mondo esistesse una certa Elena Vigni, appassionata dello stesso fenomeno linguistico su cui lui aveva pensato di costruirvi un film… però la coincidenza, perlomeno in Italia, giocava sicuramente a mio favore 😊
Ma vediamo un pò… cos’è lo Spanglish? In senso letterale, Spanglish è una combinazione, una fusione, un matrimonio dello spagnolo e dell’inglese ed è parlato da circa 35 milioni di “Latinos” che vivono negli Stati Uniti. Non esiste un unico Spanglish, ma diverse varietà regionali (distinte essenzialmente dal punto di vista lessicale), come per esempio, per citare le più estese, il mayamero (parlato dai cubani a Miami), il nuyorican (dei portoricani di New York City) e il chicano (parlato dai messicani nel sud-ovest degli Stati Uniti). Per questi ispanici lo spagnolo racchiude in sé un legame con il passato, così come l’inglese rappresenta una proiezione nel futuro nella società americana. Non ci sono scuole, né libri, né grammatiche che insegnino a parlare Spanglish, ma quotidianamente bambini, adolescenti adulti, da costa a costa, lo imparano nella ‘migliore delle università’: la vita.
Definire lo Spanglish un impoverimento del castigliano significa non tener conto della grandezza del fenomeno e del suo valore culturale, sociale e simbolico. Per comprenderne l’importanza è sufficiente riportare le parole del pittore e scrittore chicano Guillermo Gómez-Peña: “Lo Spanglish è la nostra unica patria. Molti messicani che, come me, hanno vissuto vari anni negli Stati Uniti e poi tornano alla loro terra di origine si sentono e sono stranieri. Il Messico ci dice che non siamo messicani e gli Stati Uniti ci ripetono ogni giorno che non siamo anglosassoni. Solo lo Spanglish e la sua cultura ibrida mi hanno conferito quella cittadinanza che entrambe le nazioni mi hanno negato.”
E il film? Si parla appunto della famiglia americana vista attraverso gli occhi di chi viene da fuori. Sono i problemi di una mamma single messicana, Flor, appena emigrata, nell’apprendere il modus vivendi statunitense, l’idea di base di “Spanglish”: un incontro/scontro di sguardi e culture in un Paese (l’America) che conta una delle comunità ispaniche più popolose al mondo. Epicentro della vicenda è la casa della ricca famiglia Clasky, dove la nuova domestica, Flor, porterà le proprie tradizioni messicane e cattoliche (oltre che la propria lingua) a confrontarsi con uno stile di vita a lei del tutto sconosciuto. Ad assumerla è infatti la nevrotica padrona di casa Deborah, un’eccentrica donna tutto jogging e palestra che da tempo ha perso il contatto umano con il marito John, un cuoco di rinomata fama, e con la figlia Bernice, nonostante abitino tutti sotto lo stesso tetto. Flor si trova, in poche parole, all’interno di una seria crisi matrimoniale, in un clima di tensione del quale diventerà co-protagonista quando, durante l’estate, dovrà portare con sé al lavoro anche la figlia adolescente Cristina. Peccato, trattandosi di lingua, che la traduzione del film non possa rendere giustizia a doppi sensi, giochi di parole e calembour che affollano la versione originale
Consigliato soprattutto a chi, come Elly, ha un cuore mezzo latino!!